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Il CACT Centro d’Arte Contemporanea Ticino inaugura sabato 26 febbraio 2011 la prima esposizione personale di Donato Amstutz.
Parigino d’adozione, l’artista svizzero affronta e realizza da anni il suo lavoro in maniera consequenziale, laddove, solo apparentemente, lo stilema scelto ci induce verso la tradizione della rappresentazione pittorica.
CONCETTO E VISIONE. L’IMMAGINE SOSPESA è il titolo che ho scelto per presentare questa mostra, proprio a suggerire i diversi aspetti del procédé artistico di Amstutz, che torna in maniera centripeta verso la (con)figurazione dell’uomo e della sua esistenza, in bilico tra analisi della realtà e visione. Osservatore acuto e preciso, l’incipit del suo lavoro prende viepiù forma dallo studio antropologico della Storia e delle storie di ognuno di noi, attraverso la raccolta e il recupero sistematico di immagini comuni e talvolta banali; spesso fotografie collezionate dalla cronaca giornalistica o da riviste vintage, che l’artista prende in considerazione e approfondisce a partire dai tanti volti caduti nell’anonimato. La sua è una verace reazione del soggetto ‘uomo’ all’iperproduzione di immagini. Sul mezzo giornalistico egli si sofferma più di altri, nella sua riflessione, segno di un tempo della liturgia, della reiterazione e riproducibilità, e dell’elaborazione/manipolazione politica della realtà riflessa ...mezzi di comunicazione di massa, Internet compreso, ch’egli filtra e fa sue, concentrandosi prevalentemente sulla produzione giornalistica, quale elemento di fragilità votata al disfacimento.
Amstutz colleziona, isola e taglia fotografie in bianco e nero tratte da quotidiani, mezzo di comunicazione democratico e informativo per eccellenza, e realtà di un giorno. Lo fa, consapevole che il domani sarà un altro giorno. Catturare queste immagini, decontestualizzarle, decostruirne il significato originale e ricostruirne un significato sublime, ri-fotocopiarle ingrandendone l’effetto offset, è il procédé primo dell’artista. Egli lo fa per entrare nell’immagine ridandole senso, e con lo scopo di ricollocare l’uomo entro il confronto con la post-contemporaneità che ci circonda. L’universo della tecnica e della tecnologia ha sicuramente riconfigurato le nostre modalità d’osservazione, dando vita ad una nuova estetica che attinge al mondo liturgico delle immagini riflesse.
La consistenza del materiale cartaceo d’origine viene coerentemente ripresa dall’artista con la leggerezza del cotone bianco, su cui l’artista ricama a mano le sue figure – perlopiù volti di donne – lentamente e con una perseveranza estenuante piacevolmente artigianale… come un vecchio ricamatore al suo telaio, che, nell’atto del fare e del riprodurre ferma il tempo virtuale per riappropriarsi di quello reale.
Questo è il fine principe di Amstutz.
A più riprese ho scritto di quanto l’arte abbia saputo ancora una volta e sempre dimostrare la sua totale incapacità di adattamento e integrazione al mondo reale, nello specifico di una società borghese fortemente connotata da una virtualizzazione recrudescente; se non subirne i diktat molto spesso impostisi attraverso i molteplici modelli estetici.
Egli si oppone alla macchina, strumento politico per la sottomissione dell’uomo: Amstutz si contrappone alla capacità dell’apparato, del mondo della produzione esagerata d’immagini destinata alla mistificazione all’effimero, di privarci di visione e umanità. Le sue donne, i suoi personaggi finora anonimi, ricamati con paziente e ossequiosa dedizione riproducendo il sistema offset, riacquistano una identità e un valore umano soggettivi; Donato Amstutz ricostituisce la possibilità dello spettatore di ritrovarsi, di ritrovare intimamente l’anima persa nella moltitudine.
Mario Casanova, 2011
On Saturday 26 February 2011, the CACT Centre of Contemporary Art in Canton Ticino is inaugurating the very first one-man show to be held by Donato Amstutz.
Parisian by choice, the Swiss artist has spent years tackling and undertaking his work coherently, in a situation where the styleme only apparently induces us to tend towards the tradition of pictorial representation.
CONCEPT AND VISION. THE SUSPENDED IMAGE is the title I have chosen to present this exhibition, as it lends itself well to suggesting the various different aspects of the artistic approach adopted by Amstutz, who refocuses centripetally on man’s (con)figuration and his existence, balanced on the knife-edge between an analysis of reality and vision. As an acute, precise observer, his work’s starting point tends to take shape around the anthropological study of history and of the individual stories of every one of us, which the artist tackles by collecting and systematically recuperating common and sometimes commonplace images; often photographs that he has gleaned from daily newspapers or from vintage magazines, where he has a penchant for appraising and evaluating the many faces that have lapsed into oblivion since they were first published. His is a gut reaction of a man as subject to today’s overproduction of images. He dwells longer in his reflection on the journalistic medium than others, treating it as a sign of the timeframes of a liturgy, of reiteration and reproducibility and of the political elaboration and manipulation of the reality it reflects... mass communications media, including the Internet, that he filters and makes his own, concentrating primarily on journalistic output as an element of fragility destined for decline.
Amstutz collects, isolates and cuts out black and white photographs taken from newspapers, communication media that are democratic and informative by their very nature, reflecting the reality of a given day. And he does so with the awareness that tomorrow will be another day. Capturing these images, taking them out of their contexts,
deconstructing their original meaning and constructing a sublime new one for them, re-photocopying them to blow up their offset effect: all this is the artist’s basic approach. His purpose in doing this is to delve inside the image and give it new meaning, so as to put man back into the equation of the post-contemporary world around him. There’s no doubt that the advent of science and technology has redesigned the way we see and look at things, giving life to a new aesthetic that draws on the liturgical paraphernalia of reflected imagery.
The artist revives the consistency of the original paper material with the lightness of white cotton, on which he embroiders his figures – usually women’s faces – slowly, by hand and with the endearing, extenuating perseverance of the craftsman… like an old embroiderer at his frame, who stops virtual time in his act of making and reproducing, so as to take back real time.
And that is the principal aim of Amstutz.
I have written on several occasions about how art has once again and always come back to demonstrate its own complete inability to adapt to and integrate with the real world, specifically the real world of a middle-class society that bears a strong imprinting of resurgent virtualisation, when it is not subject to its diktats that are often imposed through a variety of aesthetic models.
Amstutz opposes the machine, the political instrument used to hold man in subjection, standing up in opposition to the ability of the apparatus, of that world that generates an exaggerated quantity of imagery destined for mystification and impermanence, to deprive us of vision and humanity. His women, all those characters of his that have thus far been anonymous, embroidered with patient, obsequious devotion to reproducing the offset system, acquire a new subjective identity and human value. Donato Amstutz restores the observer’s ability to find himself, to rediscover the intimacy of the soul he had lost in the teeming multitudes
Mario Casanova, 2011 (translation Pete Kercher)