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LE PSICO-GEOGRAFIE SOTTILI. IL CALVARIO
DELL’IMMAGINE.
Felice Filippini & Jean Corty, Martin
Disler, Otto Dix, Aurelio Gonzato, Hermann Hesse, Apollonio Pessina, Luigi
Rossi, Louis Soutter, Varlin
Vernissage__sabato 8 settembre 2012 dalle
17:30
8 settembre – 4
novembre 2012, ve-sa-do_14:00-18:00
Felice Filippini, Autoritratto con Dafne, 1941 (Archivio Felice Filippini, Manno)
Il MACT/CACT ARTE CONTEMPORANEA TICINO
apre il prossimo 8 settembre 2012 alle ore 17:30 un’esposizione a tratti
rigorosamente museale, anche se di grande apertura su di un personaggio forte e
tuttora contrastato all’interno del panorama culturale a sud delle Alpi. Come
sempre, i curatori della mostra affrontano non già la visione e il conseguente
impatto indigeno verso questo grande artista, quanto il suo giusto
riposizionamento all’interno di una scenografia internazionale dell’arte, disegnatasi
proprio durante il grande secolo delle avanguardie e della cosiddetta modernità.
Quelle stesse modalità di approccio critico all’universo culturale e artistico circoscritte
al Novecento, quale notevole periodo storico di fermento intellettuale, ma – contemporaneamente
– di particolare crisi del cambiamento, sia culturale che sociale.
Felice Filippini, Autoritratto, 1970 circa (Archivio Felice Filippini, Manno)
Questa mostra è un omaggio alla figura apolide
ed eclettica di FELICE FILIPPINI (1917-1988); scrittore, pittore,
giornalista, pensatore scettico e schivo verso le mode dominanti e il tessuto
sociale, in cui ha vissuto e operato.
Soprattutto la figura di Filipini pittore
verrà affrontata in questa mostra, unica nel suo genere per la capacità di
confronto della sua opera visiva – dalla fine degli anni ’30 fino agli anni ’80
– con l’internazionalità; dalla sua ideale adesione alla Scuola Romana e a
Corrente, rivista artistico-letteraria interdetta dal regime fascista di
Mussolini nel 1940, fino a toccare l’espressionismo nordico, partendo – in entrambi
i casi – dalla loro radice rinascimentale.
Felice Filippini, La caduta della ballerina, 1969-1970 (Archivio Felice Filippini, Manno)
Nato nel pieno della prima Grande guerra, di
cui la presenza di un’opera risalente al 1917 di Otto Dix (1891-1969) richiama
i disastri morali e sociali di un’Europa allo sfascio, Felice Filippini si
mette quindi sapientemente in dialogo con l’humus culturale degli anni
successivi e dei loro autori, che in qualche modo alimentano e rinvigoriscono la
sua curiosità professionale e l’ambiente storico e societale, nel quale
l’artista di origine ticinese si è trovato ad operare: dal periodo della
seconda guerra mondiale fino alla sua morte.
Alcuni dei riferimenti ripresi all’interno
della mostra sono inizialmente il pittore svizzero Luigi Rossi
(1853-1923), esponente di quell’Ottocento lombardo, che – con Filippo Franzoni,
Mosè Bianchi, Daniele Ranzoni, Federico Faruffini, Tranquillo Tremona, nonché
la Scapigliatura lombarda in generale e altri, – ha dato vita,
sul crinale tra Ticino e Milano, a un forte movimento artistico di portata
interlocale. La presenza altrettanto significativa di figure quali Apollonio Pessina (1879-1958), Jean Corty (1907-1946) o Aurelio Gonzato (1914) insegnano e testimoniano quanto l’osmosi culturale tra taluni artisti
ticinesi e il fermento artistico internazionale abbia prodotto, in un cantone
da sempre avaro di riconoscimenti ed interessamento verso le sue personalità, personalità
di notevole spessore creativo e culturale.
Da sempre restìo a cedere alla lusinga delle mode
e delle avanguardie, come crogiolo di una estenuante coerenza più stilistica
che contenutistica, Filippini – nella terza fase della sua produzione artistica
– si concentrò attorno alla figura dell’uomo e dei suoi rizomi, della società
che lo partorisce e lo istruisce, pur percependo il forte cambiamento epocale
che stava sopraggiungendo e che rivoluzionerà la seconda metà del secolo scorso
fino alla crisi deideologizzante del nuovo millennio, terribile, quanto
irreversibile e finalmente reale; la caduta del modello e degli stilemi
borghesi. Le opere realizzate alla fine degli anni ’80 La città moderna (1988) e Il cimitero delle automobili (1987) stigmatizzano e
rappresentano in qualche maniera il processo di liquefazione dell’ultimo
Novecento.
Felice Filippini, Il cimitero delle automobili, 1987 (Archivio Felice
Filippini, Manno)
L’acqua, la morte, la nave dei superstiti o
dell’umanità che cade e che va, gli amori e le passioni sensuali; questi sono i
temi ch’egli elabora con ossessività, togliendo tutti i possibili veli
inibitori al suo sentire emotivo e sempre insoddisfatto; e cercando di svelare
il mistero dell’esistenza e del suo inesorabile finire. La Vita, la Morte, la
Sessualità come luoghi comuni delle vanità umane sono qui rappresentate in
chiave più terminologica, il gesto veloce e colorato, la frammentazione di una
società in cerca d’identità si ricollegano a quelle figure espressionistiche e
brut come Martin Disler (1949-1996), Louis Soutter (1871-1942), Varlin (1900-1977).
Hermann Hesse, Rotes Haus, 1922 (Museo Hermann Hesse, Montagnola)
Felice Filippini, con il suo importante testo
letterario IL SIGNORE DEI POVERI MORTI
(1942), rimane una personalità profondamente onesta che ha saputo, con quella
giusta dissacrazione tipica dell’artista vero, infastidire le convenzioni
sociali di un contesto europeo benpensante di sviluppo globale e universalità
economica del dopo-guerra.
SUBTLE
PSYCHO-GEOGRAPHIES: A CALVARY FOR THE IMAGE.
Felice Filippini & Jean Corty, Martin
Disler, Otto Dix, Aurelio Gonzato, Hermann Hesse, Apollonio Pessina, Luigi
Rossi, Louis Soutter, Varlin
Vernissage__Saturday
8 September 2012 at 5.30 p.m.
8 September – 4 November 2012, Fri-Sat-Sun_2.00 - 6.00 p.m.
On 8 September 2012 at 5.30 p.m.,
the MACT/CACT CONTEMPORARY ART IN CANTON TICINO is inaugurating an
exhibition with some strictly museum-like traits, albeit with considerable
aperture towards a strong character who still arouses much opposition in
cultural environs on the southern side of the Alps. As always, what the
exhibition’s curators are tackling is not so much this great artist’s vision
and his consequential impact on his native soil, as his deserved repositioning
on the international art scene that came about during the great century of the
avant-gardes and what goes by the epithet of modernity: those self-same methods
of critical approach to the cultural and artistic milieu, restricted to the twentieth
century, as a notable period in history not only of intellectual ferment, but
also – and simultaneously – of a particular crisis of both cultural and social
change.
This exhibition is a tribute to the
stateless, eclectic figure of FELICE FILIPPINI (1917-1988), a writer,
painter, journalist and thinker, who was cynical and reserved with regard to
the dominant fashions and the social fabric in which he lived and worked.
It is above all the facet of
Filippini that sees him as a painter that will be tackled in this exhibition,
which is rendered unique by its capacity to compare his visual output – from
the end of the thirties to the end of the eighties – with the contemporary
international scene: from his ideal identification with the Roman School and with
Corrente, the literary artistic
magazine outlawed by Mussolini’s Fascist regime in 1940, right up to his
verging on Nordic Expressionism, in both cases starting from their Renaissance
roots.
Felice Filippini, Lucrezia, 1942 (Felice
Filippini Archive, Manno)
Born at the height of the Great War,
whose moral and social disasters of a collapsing old European world order are
recorded here by the presence of a work by Otto Dix (1891-1969) dating
to 1917, Felice Filippini skilfully established a dialogue with the cultural
humus of the following years and the artists who populated them and in one way
or another nourished and regenerated his professional curiosity and the
historical and societal ambient in which this Ticino native found himself
working: from the period just after the second World War until his death.
The benchmarks cited in this
exhibition include early references to the Swiss painter Luigi Rossi (1853-1923), an exponent of the nineteenth-century movement in Lombardy that –
with Filippo Franzoni, Mosè Bianchi, Daniele Ranzoni, Federico Faruffini,
Tranquillo Tremona and all the Lombard Scapigliatura in general, as
well as others – breathed life into a vigorous artistic movement with a
cross-border relevance between Ticino and Milan. The no less significant
presence of such artists as Apollonio Pessina (1879-1958), Jean Corty
(1907-1946) and Aurelio Gonzato (1914) constitutes a signal lesson and
clear evidence of the extent to which the cultural osmosis between these Ticino
artists and the ferment on the international art scene produced personalities
of notable creative and cultural substance, in a Canton that has always been
averse to acknowledging its native sons, or even to taking an interest in them.
Ever reluctant to yield to the siren songs of fashions and the avant-gardes, as a crucible of a tireless coherence more of style than of content, in the third phase of his artistic career, Filippini concentrated on the figure of man and his roots, of the society that gives birth to and educates him, while nevertheless perceiving the drastic sea-change that was already then about to burst upon him and was soon to revolutionise the second half of the last century, culminating in the crisis of ideologies heralded by the new millennium, as terrible as it has been irreversible and ultimately real: the fall of the middle-class model and its presumptions. The works he created at the end of the eighties – The Modern City (1988) and The Auto Cemetery (1987) – stigmatise and somehow represent the process of meltdown at work as the twentieth century drew to its close.
Martin Disler, Untitled, 1987 (Private collection, Switzerland. Ph. by
Pier Giorgio De Pinto © PRO LITTERIS / Zürich)
Water, death, the ship that bears
survivors or humanity that falls and passes on, love affairs and sensual
passions: these are the themes he developed obsessively, stripping every
possible inhibitory veil from his emotional, ever-dissatisfied feeling and
striving to reveal the mystery of existence and of its inexorable ending. Life,
Death and Sexuality, like so many assumptions of human vanity, are represented
here in a more terminological vein: the artist’s rapid and colourful gesture
and the fragmentation of a society in search of an identity refer back to
brutal Expressionist figures like Martin Disler (1949-1996), Louis
Soutter (1871-1942) and Varlin (1900-1977).
With his important literary work IL SIGNORE DEI POVERI MORTI (The Lord of the Poor Dead, 1942), Felice
Filippini left a testimony of a profoundly honest personality who was capable,
like every true artist, of stating when the emperor wears no clothes, upsetting
the social conventions of the priggish post-war European approach to global
development and economic universality.
Mario Casanova, 2012 [translation Pete Kercher]
Un particolare ringraziamento va all’Archivio Felice Filippini, Manno, Mario Matasci della Fondazione Matasci per l’Arte, Tenero, e Regina Bucher, direttrice del Museo Hermann Hesse di Montagnola.Il MACT/CACT è sostenuto finanziariamente e culturalmente da Repubblica e Cantone del Ticino, Città di Bellinzona, Alfred Richterich Stiftung Kastanienbaum, Immobiliare Bellinzona, amici del MACT/CACT, gli artisti.
Special thanks are
due to the Felice Filippini Archive, Manno, to Mario Matasci of the Matasci
Foundation for Art, Tenero, and to Regina Bucher, director of the Hermann Hesse
Museum in Montagnola.
MACT/CACT is financially and culturally supported by
Repubblica e Canton Ticino, Città di Bellinzona, Alfred Richterich Stiftung
Kastanienbaum, Immobiliare Bellinzona, Friends of MACT/CACT, the artists.