09 January 2011


Villa dei Cedri Bellinzona e Polo culturale Lugano: solo qualche esempio…

Il modello economico-finanziario in crisi ha messo in crisi anche il museo, baluardo della politica culturale di una certa classe politica, che affonda le sue radici nella collusione cultura-politica-mercato.
È approssimativamente dagli anni ’80 che il politico interviene in maniera drastica in ambito culturale. Eccezion fatta per qualche lungimirante caso (si ricorda François Mitterand e il suo ministro Jack Lang), l’individuo politico ha viepiù riadattato il museo al criterio di gestione aziendale, a tal punto che oggi negli istituti di cultura la sua ingerenza prevarica sulla professionalità del direttore o specialista del settore. È pur vero che se la figura del politico è stata capace di portare denaro e finanziamenti per la cultura, parallelamente e paradossalmente si stava meglio quando di capitali ce n’erano meno. La gestione del museo-azienda, tanto caro – alle nostre latitudini – ai capi dicastero delle attività culturali, soggiace alla mera legge del mercato; non solo per quanto riguarda l’impiego talvolta improprio delle risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato, ma specificatamente per l’incapacità tutta illuminista di distinguere un consiglio di fondazione da un consiglio di amministrazione. Ci basta dare un’occhiata alla composizione dei consigli consultivi e direttivi dei musei per capire che raramente questi sono formati da esperti o specialisti d’arte; quasi sempre solo avvocati, cavalieri d’industria e funzionari, molto spesso stanchi della loro stessa piccola sete di potere.
Riconsegnare i musei nelle mani degli attori principali del mondo della cultura (e con questo intendo storici, critici, artisti, curatori e quant’altro) è un passo quasi obbligato nel prossimo futuro, per non rischiare di vedere la cultura stessa sparire letteralmente, ormai spogliata dei suoi significati. Se non avessimo le didattiche forzate e inutili proprio per quella sciocca logica borghese della riproduzione della cultura e dell’istruzionismo per tutti, gran parte dei musei sarebbero pressoché vuoti. In realtà sappiamo che tale movimento di masse scolastiche, al di là dei fini didattici mirati, corrisponde ad una sorta di incremento coatto del numero di visitatori.
Cos’è, quindi, un museo? Quale è il suo reale scopo? Quali sono le esigenze del fruitore d’arte in epoca post-contemporanea e post-tecnologica, laddove la rete è diventata oggi uno degli stilemi principali per la produzione delle idee?
In un periodo, in cui le idee stesse stanno finalmente sostituendo le ideologie, il politico naviga controcorrente e ha sostituito la museologia con la museificazione. Complimenti! La Storia dimostra che l’ingerenza della politica in ambito culturale e gli influssi del politico sugli esperti d’arte hanno quasi sempre prodotto danni.
Per quanto attiene al nostro territorio, gli interessi si concentrano evidentemente sul Polo culturale, entro il cui feudo le scaramucce tra il sindaco di Lugano e il suo capo dicastero assomigliano sempre più alle discussioni tra due donne al lavatoio. È triste constatarlo, ma è forse ancora utile ricordare come personalità quali il Barone Thyssen o Harald Szeemann, da Erich Fromm fino ai vari grandi artisti, premi Nobel e tanti altri sapienti visionari internazionali, i quali hanno saputo, per vocazione e non per mestiere, dare lustro e contenuto culturali al nostro paese, siano stati squattati per fare posto ai localismi, alla caricatura e al grottesco.
Fortunatamente il Cantone – nella fattispecie il Museo Cantonale d’Arte – riesce a ridare dignità alla cultura attraverso un lavoro oculato e finalizzato all’arte. Esso è pure circondato da realtà indipendenti parallele in ambito contemporaneo, che negli ultimi anni hanno viepiù animato e arricchito la scena ticinese. Peccato che, per il 2010, l’Ufficio Federale della Cultura abbia ritenuto di non dover attribuire il Premio Federale per spazi d’arte nemmeno a uno di questi.

Mario Casanova, 2011