Ph. Pier Giorgio De
Pinto © PRO LITTERIS / Zürich
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JE SUIS PRÊT
Io sono pronto. È l’attimo quando la sospensione e l’attesa, di qualcosa che sta per avvenire, annunciano la
tensione, per poi approdare in una dimensione senza tempo, nella quale la vita
dà forma ad un’idea,
una necessità che arriva ad essere estensione del corpo e forma materiale.
Nasce così la messa in scena nella quale il corpo e l’immagine diventano dispositivi
simbolici, la metafora dell’umano e del divino, ma anche una verifica personale e
sociale.
Nel nostro tempo il controllo e l’esposizione del corpo equivalgono alla sua formazione e
trasformazione, che si affermano nella destrutturazione linguistica. Nell’archivio fotografico mediatico
il corpo è diventato liquido, più morbido alle forme e sfugge ad un’immagine efficace e statica.
Nel momento in cui il corpo viene socializzato e diventa qualcosa da mostrare,
il suo controllo totale risulta irrealizzabile.
In questo modo “se il corpo perde forma” è più trasformabile ma, in maniera paradossale, può
svelare resistenze e risorse inquiete, mediante un processo che ci conduce a
rincorrere ciò che è fuggevole e, contemporaneamente, a cercare di eludere
qualcosa a cui non possiamo sottrarci.
Mostrare il corpo in azione o nella sua immanenza, con l’esplicitazione di un pensiero
non violento è, sicuramente, a livello intellettuale, provocatorio e
minaccioso, in quanto mette in dubbio valori e modelli tradizionali, per
favorire energie psico-fisiche di liberazione insieme all’acquisizione del limite e della
fragilità umana.
Il corpo “prende forma” o “perde forma” in rapporto alla nostra esperienza di vita, perché è nella
relazione che sperimentiamo la verità: prendiamo forma quando il corpo è preso
da un altro.
L’arte della performance rappresenta un modo di estendere l’identità umana, in cui emerge
una cultura del “tutto
intorno”
e delle relazioni. La costruzione del sé che partiva da un punto, la posizione
del soggetto in rapporto alla gabbia prospettica umanista, ha subito uno
slittamento circolare e morbido, dentro un circuito elettrico di connessioni e
interazioni.
Questa cultura materiale ha determinato un processo
creativo polisemantico, che prevede l’annullamento del soggetto, come modello forte e
istituzionale, e favorisce diverse possibilità di vita.
In questo modo l’opera d’arte è significativa in rapporto all’umanità, perché traccia un
itinerario di relazioni a tema, personali e sociali, tra un’opera e l’altra, l’evento di una mostra ed un
progetto performativo, dentro una dinamica che oscilla tra contemplazione e
fruizione.
Ph. Pier Giorgio De
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Je suis prêt è la performance
che l’artista
Valter Luca Signorile presenta al MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino,
in occasione dell’inaugurazione
della sua personale dal titolo emblematico: KEIN KÖRPER
(Nessun corpo), una ricostruzione poetica della sua multiforme esperienza artistica,
legittimata dallo sviluppo di un pensiero civile, filosofico e teologico, in
relazione ad una produzione, irregolare ed anti-accademica, che utilizza la
tecnologia di massa ma anche la manualità espressiva.
La performance Je
suis prêt è un’allegoria di lunga durata, dal tramonto all’alba, un viaggio nella notte
per incontrare l’alterità,
in rapporto al mistero enigmatico che guida l’uomo verso forze esterne e contrapposte, differenti ma
complementari.
L’azione performativa trae spunti evocativi dall’episodio biblico che riguarda
la lotta contro un essere soprannaturale, un episodio enigmatico della Genesi:
Giacobbe contro l’angelo.
L’esibizione estenuante implica una sfida, che riguarda la
restrizione e la determinazione del sé; in questo senso si vuole liberare il
proprio corpo ma nello stesso tempo è lo stesso corpo che inchioda. La messa in
atto rimanda al tema dell’opposizione, nel quale la poetica del decostruire per
costruire, mediante un lavoro ripetitivo, che circoscrive e vincola, rappresenta
un modo per affermare la metafora del trauma che inevitabilmente rimanda a
livelli di debolezza, perché è anche nella forza che la fragilità si insinua.
L’artista in questo contesto recupera la sua dimensione
spirituale secondo un approccio laico, dove la tradizione contribuisce a
recuperare un approccio magico che lo conduce all’astrazione della realtà per percepire l’invisibile. Nella natura delle
cose l’incontro-scontro,
l’unione
e la separazione, la notte ed il giorno, l’umano e il divino, sono elementi necessari ma destinati ad
essere circoscritti nella loro collocazione fisica e simbolica.
Je suis prêt
è un processo di tempo catartico,
quando la natura profonda viene disvelata mediante una danza romantica e
primordiale, in cui il momento con l’Altro, temuto e desiderato, dimostra anche l’incapacità, il bisogno di un
rifugio in una speranza di salvezza.
Giuseppe
Carrubba, 2014
Ph. Pier Giorgio De
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