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24 December 2016

CHAIER D'ART #11 / Valter Luca Signorile / JE SUIS PRÊT














Cahier d'Art #11
Valter Luca Signorile
JE SUIS PRÊT
A cura di Giuseppe Carrubba
Introduzione di Mario Casanova e testi critici di Giuseppe Carrubba
118 pagine (I-GB)

MACT/CACT Publications 2016




04 February 2016

SESSANTOTTO e DINTORNI, testo di Mario Casanova



Sessantotto e dintorni

Parlare di Sessantotto o anche solo farne riferimento non è facile, perché è come chiaccherare di un argomento o di un evento che tutti più o meno conoscono e di cui sanno per rifrazione, ma che fondamentalmente non è mai esistito; una visione, una vera e propria utopia, che muore nel momento in cui tenta di nascere come forma artistica. Poiché le visioni e le utopie sono proprio quegli ingredienti catartici alla base dell’arte e del mistero della creazione, che si fanno forma allorquando cercano di sfuggire dalla sua definizione, quasi la formalizzazione di un pensiero che diventa logo fosse già, per sua stessa definizione, intrinseca prigione. E l’arte è proprio come la libertà; sconfinata, senza limiti morali, ove tutto è possibile, senza costrizioni ideologiche e significanti privi di significato; una camera delle curiosità, finché la sua definizione la trasforma nel nostro stesso carcere.

Il tentativo szeemaniano di approcciare il linguaggio artistico attraverso una nuova forma curatoriale che tentasse di riportare alla superficie – liberandola – l’esperienza concettuale ma anche l’impegno civile, politico e socialmente militante dell’artista e degli stessi curatori, fu sicuramente la via da percorrere in quegli anni. Egli tentò, infatti, di dare forma alle attitudini, transitando dall’esperienza visiva all’espressione dell’esperienza concettuale liberata da ogni paradigma accademico. E la sua visione fu proprio uno degli ultimi importanti tentativi, nel XX secolo, di coagulo di un pensiero entro una società ancora fortemente propensa a un certo modello democratico attraverso le ideologie politiche o i manifesti artistici collettivi tipici delle avanguardie, alle varie forme di socialismo.
Ma cosa è evidentemente fallito per Szeemann, quand’egli stesso sentiva all’inizio del nuovo Millennio il bisogno ‘di cambiare tutto’, poiché ‘tutto era da cambiare’? Perché l’esperienza e la visione pasoliniana, all’interno della rilevanza universale del suo messaggio, si ostina a rimanere una utopia per quei pochi visionari di allora come di oggi? Due esempi (tra i tanti) di grande coraggio quasi magico, di anticipatori ma allo stesso tempo vittime del dogma sociale e politico, e relegati alla propria unicità individuale.
Da un lato, il quesito è sempre lo stesso; cioè come esprimere attraverso il proprio gesto (Gestaltung) la propria esperienza esistenziale (Erfahrung e anche Erlebnis, perché no?) in un tutt’uno che si chiama Arte Totale, una imperdibile quanto aderente simbiosi tra quello che sei, ciò che fai e come vuoi apparire. Ecco che la forma, il corpo mai si slega dal motore spirituale o anche solo ideale.

Queste forme ribelli o di ribellione nascono verosimilmente, o sicuramente, da momenti di passaggio e metamorfosi epocali e durano nei secoli, poiché vera espressione del bisogno dell’uomo di prevalere sulla morte attraverso la creazione di cellule quasi atemporali e pagane nel verso dell’edonismo, di nuovi ordini spirituali e sociali, o anarchici. Del resto questo è anche il senso che si dà alla Storia. Le varie e variegate forme di Camera delle Curiosità o di Wunderkammer concesse al e dal pensiero (artistico) – dallo studiolo di Francesco I de’ Medici, passando da Louis XIV ultimo vero monarca francese, fino al rapporto tra Wagner e Ludwig II di Baviera, nella cui figura di re illuminato si ravvisa la (in)consapevole fine di un’epoca ch’egli stesso aveva contribuito a decretare come ultima metastasi di una ‘fin de race’ – hanno sempre marcato il grido dell’uomo per la sua sopravvivenza nei momenti storici contraddistinti da crisi temporali e morali di transito e metamorfosi della società.
…poi la visione di Henri Dunant e della sua Croce Rossa, il Monte Verità, che riusciva a coagulare tra le Isole di Brissago, o Saint Léger, e Ascona il traghetto che ci portava gentilmente dal tardo Ottocento scapigliato, o dei fuoriusciti come i russi Troubetzkoy sulla sponda italiana del Verbano, al nuovo visionario che arrivava da un’Europa in guerra e in menopausa esistenziale.
Un nuovo che depennava il denaro per il valore, consapevole della superiorità dello spirito e della visione sulle vanità del possesso e della gestione delle risorse umane.

Questi luoghi reali, visionari e spirituali s’intridono di energia, laddove il genio del luogo prevale su qualsiasi umanità con tutti i suoi limiti temporali. Ecco cos’è forse il Sessantotto; un luogo della mente e dello spirito visionario come pochi altri, laddove l’essere prevale sull’avere e la pienezza dell’esistenza prevale sulla divinazione.

Ecco dove nasce forse la censura e la negazione dell’arte come etichetta della degenerazione umana, ecco dove nasce spesso l’istigazione verso il reale come antitesi totale corrotta all’arte: forse proprio dall’istituzione, dal dogma, dalla forma, che vogliamo a tutti i costi attribuire erroneamente a ogni struttura del pensiero, a questo luogo della mente atemporale, apolide, amorale e infinita.

Cosa hanno sbagliato Szeemann o Pasolini o tutti gli altri? Nulla! Essi hanno dato per acquisire visioni, che molti interpreti della Storia hanno venduto in cambio di denaro e di favori politici. La virtualizzazione ha fatto il resto.

I grandi visionari esistono ancora, oggigiorno spesso nascosti, e ciò che un tempo era il vanto di una società davvero illuminata – per usare un aggettivo mistificatorio che non amo per niente –, oggi costituisce uno dei tanti mali oscuri. In qualche modo la Storia si ripete.

Mario Casanova
Svizzera, 2016


Mario Casanova, Self-portrait, 2014



10 January 2016

UNTITLED, text by Mario Casanova for OTHER IDENTITY, 2016


Italiano


Senza titolo

La (ri)definizione d’identità è e rimane – in generale – uno dei temi caldi, che riapre un dibattito infinito di tipo sociale ma anche, per certi versi, antropologico attorno all’essere in relazione all’altro, dentro un mondo che cambia, e che ancora nasconde in sé molte banalità sensibili e troppe mistificazioni taciute sulla costruzione di un concetto accettabile di progresso e di modernità. Non solo perché lo studio sulle identità trova la sua genesi e si giustifica nella comprensione delle individualità e delle diversità, ma perché esso studia fortemente le particolarità delle minoranze altre in rapporto a dominanti sociali, politiche e religiose.

Francesco Arena, artista e curatore di OTHER IDENTITY, mi ha chiesto di scrivere due righe non obbligatoriamente legate alla sua mostra, e di esprimere delle mie considerazioni pertinenti a questo tema: in generale.
Esso è vastissimo, non più semplicemente correlato – come detto – allo specifico della sua mostra o alle identità pertinenti al corpo. Infatti, del tutto ordinario e ‘dépassé’ sembra oggi parlare di identità in ambito di espressione delle proprie sessualità; poiché non ci si dovrebbe ormai più esprimere in termini di una sessualità, quanto piuttosto su di uno spettro che rifrange molte sessualità, come se l’aspetto trans odierno, rinvigorito da un processo di virtualizzazione tecnologica e telematica, fosse l’unico vero strumento catartico per un passaggio da un periodo storico a un altro, entro un’epoca di guerre tra culture che tentano di reimporre goffamente e con tanta recrudescenza ognuna la propria idea di identità; una definizione che per secoli e, ahimè, ancora oggi sembra rimanere un dogma noioso, un assioma indiscutibile; cioè essere come la società ti impone di apparire. Una società spaccata nel suo eterno dualismo tra divinazione e incarnazione, e in equilibrio tra bene e (in)consapevolezza del male e della sua cattiveria dominatrice.

Ecco, quindi, che lo slogan illuminista e molto ‘radical’ Liberté, Egalité, Fraternité solo rimane uno tra le tante ipotesi impolverate per un miglioramento della società anche solo da un punto di vista classista; possibilismo, cui nemmeno più gli stessi illuministi forse credono di fronte alla forza dell’uomo e delle sue antropologie bestiali ed egoiche.
L’arte ha sempre rappresentato idealmente quel luogo dove si fondono, fuori dal tempo e da qualsiasi istituzione, proprio libertà, uguaglianza e fraternità. In un mondo dove la sessualità, la donna, i bambini e gli animali, ma soprattutto qualsiasi valore degno di attenzione, vengono sistematicamente sfruttati e calpestati pur di vendere anche solo un tostapane, paradossalmente – in arte – il tema delle identità dà fastidio, nella misura in cui esse rappresentano quel simbolo-traghetto nel verso della liberazione dal dogma, dell’evasione dalla prigione sociale e dalle divisioni razziali: un sogno, una visione, una utopia. Perfino il mondo stesso dell’arte è divenuto spesso luogo di istigazione all’antipatia, alla divisione e alla frammentazione, laddove competenza e competitività sono state sostituite da ruoli e competizione, e dall’aggressività: così come qualsiasi altra forma di radicalizzazione religiosa o politica.

In cosa consiste allora il corpo della cultura? Come si incarna l’identità? Con quali modalità e sembianze?

Ecco che in tempi di fusione culturale e integrazione sociale, per le quali abbiamo ceduto gran parte delle nostre libertà e conquiste individuali e culturali, e laddove i valori vengono sempre meno, riaffiorano simili quesiti; che sono anche questioni di opportunità e opportunismi.

Il secondo Novecento è stato determinante, direi illuminante, per farci capire quanto le ideologie, i dogmi e le avanguardie abbiano mal alimentato e plagiato le nostre fantasie e le nostre vite, millantando un concetto di progresso e di evoluzionismo fondamentalmente inesistenti se non per quanto attiene all’idea di nicchia. Il processo di democratizzazione ha fatto il resto. In questo senso parlare e argomentare oggi di identità, lo si potrebbe fare solo passando da uno stato identitario come marchio e imposizione sociale a un approccio quasi trans-sociale, eterotopico, cioè al di là dell’uso stesso della definizione di identità: processi di democratizzazione e di statalizzazione assolutamente involutivi per l’identità individuale e l’autodeterminazione dell’uomo, nella cui contravvenzione qualcuno vedrebbe, invece, un possibile sviluppo.

Nell’ambito della cultura visiva e non solo, dalla caduta delle avanguardie prontamente plagiate e sostituite dal mercato, l’arte è alla ricerca di una sorta di trans-identità, dove l’ibridazione, il metamorfismo, la fusione tra arte pura e applicazione dell’arte si muovono e dialogano nella ricerca di nuove forme identitarie e linguaggi estetici; una ricerca più libertaria e libertina.

Ed è proprio in quell’eterno difficile rapporto tra divinazione e incarnazione che si gioca il ruolo dell’individuo; nel dialogo monologico tra corpo e spirito, tra fede e dogma.
È rilevante lo sviluppo delle tecnologie applicate ai social network; essi incarnano da un lato il neo-surreale, il sogno di una vita parallela o forse un’isola che non c’è, dall’altro la liberazione dal confronto sociale diretto e la definizione di una estetica meno corporale e schietta, mediata e interfacciata.

Se l’arte va nuovamente verso il corpo dopo decenni di concettualismi assurdi, ci si deve pur porre alcune domande basilari, sia per la vita che per la sua ridefinizione attraverso lo stilema della cultura e delle arti.

Mario Casanova, gennaio 2016





English


Untitled

The (re)definition of identity is and remains – in general – one of the burning issues that takes the lid back off an endless debate in a social vein – but also, in some ways, in an anthropological one – about relating to otherness, in a world that is changing and that still secretes within itself many sensitive trivialities and too many concealed mystifications about the construction of an acceptable concept of progress and of modernity. Not just because identity studies are grounded in and justified by an understanding of individuality and of diversities, but because they focus significantly on the idiosyncrasies of identifiably ‘other’ minorities in relation to social, political and religious dominants.

Francesco Arena, the artist and curator of OTHER IDENTITY, asked me to write a few lines, specifying that they did not necessarily have to be linked to the exhibition, and to express my thinking about this issue: in general.
It is indeed vast, and – as he implied – it is not simply correlated to the specifics of his exhibition or the identities pertinent to the body. In point of fact, these days it seems to be quite run-of-the-mill and passé to talk about identity in the field of how people express their own forms of sexuality; the point being that we really ought not to be talking in terms of a sexuality in the singular, but more of a spectrum that refracts a multiplicity of sexualities, as though today’s trans issue, invigorated by a process of technological and telematic virtualisation, were the only real cathartic tool for passing from one period in history to another, in an era of wars between cultures that are intent on their clumsy, heavily recrudescent attempts to force their idea of identity on each other; a definition that for centuries – and alas still today – has seemed to remain a tedious dogma, an unquestionable axiom; in other words: being as society obliges you appear. A society that is split in its eternal dualism between divination and incarnation and is balanced between good and (un)awareness of evil and of its dominant malice.

Thus it is that the Enlightenment’s utterly radical slogan of Liberté, Egalité, Fraternité has ended up as just one of the many hypotheses for improving society, also from a classist standpoint, that are now consigned to gathering dust: Maybe not even the devotees of the Enlightenment believe in such an open-door approach any more now, when faced with the force of man and of his bestial, egoistic anthropologies.
Art has always ideally constituted the place where freedom, equality and fraternity meld together, outside time and all institutions. In a world where sexuality, women, children and animals, but above all  any value worthy of attention, are exploited and trampled on systematically… anything, just to sell another toaster!... the theme of identity – in art – paradoxically causes a disturbance, to the extent that it constitutes the symbolic conveyance towards liberation from dogma, the means for breaking out from social imprisonment and racial separations: a dream, a vision, a Utopia. Even the art world itself has often become a place that provokes reactions of antipathy, division and fragmentation, one where competence and competitiveness have been replaced by roles and competition, together with aggressiveness: just like any other form of religious or political radicalisation.

So what does the body of culture consist of? How is identity incarnated? By what means and with what semblance?

Questions of this kind recur time and again, in places where values are increasingly compromised and in times of cultural fusion and social integration, for whose sake we have yielded up such a large portion of our freedoms and individual and cultural conquests: they are questions that are also matters of opportunities and opportunisms.

The second half of the twentieth century was decisive, I might even say enlightening, in enabling us to understand how much ideologies, dogmas and avant-gardes malnourished and plagiarised our fantasies and our lives, laying claim to a concept of progress and of evolutionism that were essentially non-existent except for their relevance to the idea of the niche. The process of democratisation did the rest. In this sense, the only way we could talk and discuss plausibly about identity today would be by passing from a state of identity perceived as a brand and social imposition to an almost trans-social, heterotopical approach, i.e. one that goes beyond the actual use of the definition of identity: processes of democratisation and of statalisation that are absolutely involutionary for man’s individual identity and self-determination, in whose breach some instead would see a potential for development.

Ever since the fall of the avant-gardes, promptly plagiarised and replaced by the market, art in the field of visual culture, and also elsewhere, has been searching for a sort of trans-identity, where cross-fertilisation, metamorphism and fusion between pure art and applications of art move and dialogue in the quest for new forms of identity and aesthetic languages: a quest that is more libertarian and libertine.

It is in this eternal, difficult relationship between divination and incarnation that the role of the individual is played: in the monological dialogue between body and soul, between faith and dogma.
The development of the technologies that are applied to social networks is relevant, since they embody on the one hand the neo-surreal, the dream of a parallel life, or maybe of a never-never land, and on the other the sense of not having to come to terms with a direct social confrontation, while defining an aesthetic that is less corporal and candid, mediated and interfaced.

If art is once again moving towards the body, after decades of absurd conceptualisms, it is incumbent on us to ask certain questions of fundamental importance, both for life and for how it can be redefined by means of the motif of culture and the arts.

Mario Casanova, January 2016

Translation Pete Kercher



09 April 2015

'Passo a prenderti' RSI Rete 1 / Intrattenimento con Mario Casanova e Mario Matasci / A cura di Francesca Margiotta / Mercoledì 8 aprile 2015




'Passo a prenderti'
RSI Rete 1
Intrattenimento con Mario Casanova e Mario Matasci

A cura di Francesca Margiotta
Mercoledì 8 aprile 2015

Ph. Pier Giorgio De Pinto











Mario Matasci, Mario Casanova e Francesca Margiotta 


Francesca Margiotta, Pier Giorgio De Pinto, Mario Casanova






04 April 2014

GIORNATA INTERNAZIONALE DEI MUSEI / 18 maggio 2014 / Conferenza a Villa dei Cedri, Bellinzona
































La Giornata Internazionale dei Musei avrà luogo presso VILLA DEI CEDRI, Bellinzona il 18.05.2014


COLLEZIONI E COMUNITÀ

11:00 visita guidata alla mostra "Abramtsevo - la terra dei talenti. Opere di Michail Vrubel"

14:00 laboratorio per ragazzi e famiglie con un’artista in collezione: Mariarosa Mutti

15:30 visita guidata alla scoperta dell’imponente vegetazione ornamentale del parco di Villa dei Cedri con Michele Hodel, capo giardiniere città di Bellinzona

17:00 tavola rotonda sul tema della giornata internazionale dei musei “Collections make Connections”.

Alla discussione parteciperanno:

Mario Casanova, direttore MACT / CACT, Bellinzona
Gilberto Isella, poeta
Roberto Malacrida, capo dicastero Cultura, scuole e giovani
Stefano Vassere, direttore Biblioteca cantonale Bellinzona/Locarno
Carole Haensler Huguet, conservatrice Museo Civico Villa dei Cedri

segue rinfresco.

L'entrata al Museo e le attività sono gratuite.
Il Museo rimarrà eccezionalmente aperto fino alle ore 19:00.


LA RETE MUSEO

La Giornata internazionale dei musei avrà luogo domenica 18 maggio 2014. Quest’anno i musei di tutto il mondo sono invitati a riflettere e a dare valore alla rete multiforme che li lega al loro ambiente e che collega le collezioni, gli oggetti e i visitatori.
Gli oggetti delle vostre collezioni sono un ponte verso mondi sconosciuti o perduti, verso un passato prossimo o lontano. Inoltre, gli oggetti che custodite permettono di stimolare discussioni animate tra i visitatori. Il vostro museo mette in relazione i visitatori e gli oggetti, ma allo stesso tempo è esso stesso parte integrante di una rete di istituzioni e luoghi di cultura. La Giornata internazionale dei musei è l’occasione perfetta per intensificare queste relazioni: collaborate e parlatene! Nella vostra comunicazione non dimenticate che i social media sono particolarmente adatti per mostrare le relazioni tra le istituzioni e tra le persone.
Partecipate a quest’avventura e condividetela con i vostri visitatori il 18 maggio 2014!




CAHIER D'ART #6 / PORTRAITS INTIMES. Photographs by Eduardo Tachado / Text by Mario Casanova



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CAHIER D'ART #6
Eduardo Tachado
PORTRAITS INTIMES
Critical text by Mario Casanova
52 pages
Language I, GB
CHF 10.00 / EUR 8.10
Free of charge for MACT/CACT members


CAHIER D'ART #6
Eduardo Tachado
PORTRAITS INTIMES
Testo critico di Mario Casanova
52 pagine
Lingua I, GB
CHF 10.00 / EUR 8.10
Gratis per tesserati MACT/CACT























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12 November 2013

XVII BIENNALE DI PENNE a cura di Antonio Zimarino, Penne, Italia / 2013

Ecco alcuni documenti fotografici della XVII Biennale di Penne (Pescara), 2013.

Ph. Fabrizio Sacchetti




XVII Biennale d'Arte Città di Penne
9 Novembre – 19 Novembre 2013

L'Arte Contemporanea è per sua stessa condizione e struttura un interrogativo. La sua complessità di linguaggi e rimandi è lì per ricordarci di praticare l'alterità del pensiero nel nostro tempo omologato. La rassegna Unexpected stories – between places and walls presenta una selezione complessa e significativa delle declinazioni della video arte contemporanea: analitica, documentaristica, narrativa, onirica, simbolica, iconica, performativa, analogica e digitale.
L’internazionalità delle proposte, ci guida attraverso le tendenze, le idee e gli approcci di culture ed esperienze molto diverse da quella italiana, per altro ottimamente testimoniata nella rassegna. La reticolarità è stato il criterio che ha guidato il percorso di costruzione critica della Biennale, intesa come scambio costruttivo con realtà ed esperienze curatoriali ed espositive nazionali e internazionali, condivisione dei temi del progetto, costruzione collettiva di significati, strategie, allestimenti, soluzioni.

Avremo quindi la possibilità di osservare sensibilità e sguardi diversi dal nostro, testimonianze di diverse mentalità, idee, linguaggi, contesti attraverso cui fare un'esperienza densa e profonda della creatività contemporanea. L'approccio curatoriale aperto aggiunge un nodo alla riflessione sulla pluralità tipica della visione contemporanea che verrà svelata non solo attraverso la ricerca dei video d'arte legati progettualmente all'idea di restituzione – rinascita – svelamento – recupero – attenzione al particolare, ma anche attraverso la proiezione di immagini video della città e dei suoi monumenti significativi, realizzati durante un'apposita campagna di riprese aeree con droni dotati di telecamere ad alta definizione. Il fine è quello di mostrare l'intima, nascosta bellezza propria alla/alle città e alle sue possibili relazioni.

Gli artisti
Mirko Aretini,  Flavia Bigi, Silvia Camporesi, Paolo Dell’Elce, Pier Giorgio De Pinto, Ryan Spring Dooley, Franco Fiorillo, Hrvoje Hirsl, Franco Losvizzero, Serena Porrati, Massimo Vitangeli

Ivan Argote, Alban Muja, Laura Napier, Anne Percoco,  Jan Pfeiffer, Daniel Seiple, Philippe Van Wolputte

I luoghi della Biennale
San Giovanni Evangelista, Piazza Luca Da Penne, Museo d'Arte Moderna e Contemporanea (Mamec), Museo Archeologico.

Curatori
per Unexpected stories – between places and walls: Antonio Zimarino, con Mario Casanova, Ilaria Caravaglio, Rossella Iorio, Valeria Ronzitti.

Per Playscapes/Workscapes/Innerscapes. Appunti di viaggio al confine fra arte e urbanistica: Marco Antonini.